L’Italia che affonda
3.24 - L’importanza della spesa per ricerca scientifica in Europa e negli USA
Il giudizio complessivo dell’UE sulla spesa per la ricerca scientifica è assai chiaro: in Europa si spende troppo poco in R&S (vedi quadro 1.1 e relativa fig.1). Donde la preoccupazione che ciò possa incidere negativamente sui processi di innovazione e quindi far perdere terreno sul piano della competitività economica rispetto ad altri paesi emergenti o concorrenti. L’obiettivo del 3% in R&S sul PIL, da raggiungere entro il 2010, era pensato proprio in quest’ottica. Abbiamo già visto (vedi quadro 1.6) come esso sia stato largamente disatteso sia dall’EU nel suo complesso, sia dalla maggior parte dei suoi singoli Stati membri.
La necessità di più investimenti in R&S (come anche in tutta la filiera di produzione del capitale umano) è dunque uno degli assi della strategia dell’UE per la crescita economica e per l’innovazione, che viene riproposto tra i cinque obiettivi principali da raggiungere entro il 2020, due dei quali concernono proprio la ricerca-innovazione e l’istruzione, dal Presidente Barroso (cfr. EUROPA 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM 2010, 2020 definitivo, 3.03.2010). È questa una preoccupazione solo europea, viziata da secolari e congeniti tratti di centralismo e dirigismo? Non si direbbe proprio.
Anche negli Stati Uniti viene avvertito il pericolo che i nuovi processi di globalizzazione e di delocalizzazione, concernenti non più solo l’esecuzione di lavori di assemblaggio e costruzione dei prodotti, ma anche la fornitura di servizi e la stessa produzione di conoscenza, possano minacciarne la leadership tecnologica. Tale pericolo è ovviamente favorito dalla crescita dei livelli di istruzione dei paesi emergenti, che sono via via in grado di offrire competenze sempre più qualificate e non solo manodopera generica. Negli Stati Uniti v’è il timore che la propria competitività tecnologica sia minacciata man mano che cresce la capacità di paesi come la Cina e l’India di combinare una sempre maggiore expertise scientifica (acquisita anche grazie ad una saggia politica di formazione dei propri scienziati e tecnici presso le università americane) con l’enorme massa di forza lavoro pagata con contratti salariali più a buon mercato o a basso costo. Di fronte a questo pericolo si può assumere o un atteggiamento protezionistico o una intensificazione della vecchia strategia, già con successo implementata in passato: spendere di più e meglio in R&S in modo da conservare il proprio primato e tenere a distanza il pericolo che viene dall’estero. In questa direzione vanno le raccomandazioni contenute nel rapporto Rising Above the Gathering Storm, preparato dalla National Academy of Sciences nel 2007, che è un ente privato no-profit con il compito di fornire consulenza scientifica al governo federale e che comprende la National Academy of Engineering, l’Institute of Medicine e il National Research Council. Più recentemente la National Science Foundation (NSF) ha sostenuto nel 2010 che «il governo degli stati Uniti, quale principale sostenitore della ricerca di base e accademica degli U.S., deve rispondere alle crescenti potenzialità che si sono formate al di fuori dei nostri confini. Noi sollecitiamo l’attenzione del governo federale e un’azione per sostenere la leadership degli Stati Uniti in Science & Engineering in tutto il mondo. La futura prosperità e la sicurezza della nostra nazione dipendono da un forte e fermo impegno Federale volto a questo scopo».
Le convinzioni che sottintendono le misure proposte dalla NSF sono condivise da gran parte degli studiosi americani, sicché il presidente Obama ha sin dal momento della assunzione della carica sottolineato come egli considerasse l’innovazione essenziale al futuro benessere della nazione. Nel settembre del 2009 l’amministrazione americana, col documento A Strategy for American Innovation: Driving Towards Sustainable Growth and Quality Jobs, getta le basi per una serie di politiche, iniziative e programmi che hanno il loro fuoco nell’innovazione in senso ampio (che comprende anche le attività economiche su internet, il commercio e l’innovazione sociale e non solo semplicemente la tecnologia in senso stretto) come volano della produttività e della crescita economica. A tal fine vengono stanziati col Recovery Act e nel budget del 2010 ben 100 miliardi di dollari. L’obiettivo è di superare il 3% sul PIL di investimento in R&S pubblica e privata (nel 2008 era circa il 2,7%), il medesimo obiettivo che si è posto l’UE e che ancora è ben lungi dal conseguire. E del resto, il recente rapporto della Thomson Reuters mostra come la percentuale degli articoli pubblicati dagli scienziati americani sia passata dal 40% nel 1980 al 29% del 2009, venendo così sorpassati alla metà degli anni ’90 dall’EU27 e nell’ultimo anno dai paesi della regione dell’Asia che si affaccia sul Pacifico, col 31%; e il sorpasso è anche avvenuto nel 2008 per l’ammontare in valore assoluto degli investimenti in R&S.
Quadro 3 - L’arretramento in innovazione e ricerca dell’Italia
Quadro precedente
Quadro successivo
Note e osservazioni
Il Presidente Obama, nel suo recente discorso sullo stato dell’Unione del 2011, ha dichiarato: «Cutting the deficit by gutting our investments in innovation and education is like lightening an overloaded airplane by removing its engine. It may feel like you're flying high at first, but it won't take long before you'll feel the impact» (devo questa indicazione a Egidio Caricati).
Un esempio di come altri paesi possano promuovere la ricerca è quello di Ikerbasque. I Paesi Baschi, per quanto piccoli, hanno creato nel 2007 la Basque Foundation of Science allo scopo di rafforzare il sistema scientifico di quel paese mediante l’attrazione di ricercatori stranieri e la creazione di nuovi centri di ricerca in collaborazione ai ricercatori locali. Hanno così alla fine del 2009 già assunto in pianta stabile 60 ricercatori che provengono da 20 diversi paesi (di cui 5 italiani), di tutte le discipline (48 di ambito tecno-scientifico e 12 nel settore umanistico), investendo 4.961.660 €. Si veda il sito http://www.ikerbasque.net