L’Italia che affonda

4.26 - La produttività dei ricercatori italiani: una eccellenza sconosciuta


Se consideriamo ora la produttività dei ricercatori italiani, vediamo che l’Italia si colloca al 13° posto con 6,69 articoli ogni 1000 abitanti, che non è male se consideriamo che così siamo al di sopra di Giappone e Corea del Sud e non distanti dalla Francia (vedi figura 86). Ma dobbiamo tener conto del numero di ricercatori, che nei paesi che ci precedono è di gran lunga superiore a quello italiano. Ed infatti se rapportiamo le pubblicazioni al numero di ricercatori attivi a tempo equivalente, vediamo che l’Italia schizza al terzo posto, immediatamente dopo Svizzera e Olanda e precedendo paesi molto più rinomati di noi, come gli Stati Uniti o il Regno Unito (vedi figura 87). Insomma, la produttività media per ricercatore è in Italia altissima, quasi da record, considerando le scarse risorse che vengono investite in R&S.

Tuttavia potrebbe essere notato (devo questa osservazione a Giuseppe De Nicolao)  che il rapporto potrebbe essere falsato a favore dell’Italia in quanto il suo numero dei ricercatori accademici (o comunque appartenenti al settore pubblico) è di gran lunga superiore in percentuale a quello di altri paesi, specie di tradizione anglosassone, e questi pubblicano molto di più degli altri ricercatori. In effetti tale fattore è stato calcolato in uno studio effettuato da diversi studiosi (Gagliarducci et al.), che, constatando le ottime performance dei ricercatori italiani nel rapporto pubblicazioni/ricercatori, propongono una tabella “corretta” che tiene conto di tale dato e che posiziona l’Italia al 5° posto dopo Olanda, Regno Unito, USA e Danimarca, cioè esattamente a metà classifica dei 10 paesi considerati. Collocazione assolutamente di buon livello. Per approfondire la questione abbiamo cercato di aggiornare i dati depurando i ricercatori totali per paese da quelli classificati dall’Oecd come “business enterprise researchers”, ovvero quei ricercatori che non appartengono al mondo accademico. Anche in questo modo il dato non potrebbe corrispondere esattamente alla realtà perché bisognerebbe tenere conto anche dei ricercatori che lavorano in istituti di ricerca pubblici anche se non accademici (come è da noi il CNR). Riteniamo però che lo scostamento non è troppo rilevante e può essere compensato dal fatto che tra gli articoli pubblicati e censiti dalla Thomson Reuters ci sono di certo anche quelli dei ricercatori non accademici, per cui bisognerebbe di conseguenza depurare anche questo dato. In ogni caso la tabella 87b da noi ottenuta può dare un’idea abbastanza approssimata alla realtà. Da essa si vede che che l’Italia occupa l’8° posto tra tra le prima 19 nazioni al mondo per numero di pubblicazioni, che è ancora un risultato di tutto rispetto visto che essa precede nozioni celebrate come la Germania, il Regno Unito, la Francia e così via.

Inoltre, come ha osservato Francesco Sylos Labini (“Chi denigra la ricerca italiana”, Il Fatto web), «chi l’ha detto che i ricercatori non accademici non fanno articoli? E come mai i ricercatori dei Bell Labs hanno vinto sei premi Nobel? E le pubblicazioni sfornate dai laboratori di Craig Venter sulla genomica non sono scientifiche?».

 

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Note e osservazioni


  1. Punti elenco L’articolo cui si fa riferimento è S. Gagliarducci, A. Ichino, G. Peri, R. Perotti, “Lo splendido isolamento dell’università italiana” in: http://www2.dse.unibo.it/ichino/gipp_declino_18.pdf


  1. Punti elenco Su questo argomento vedi in generale anche quanto sostenuto da Francesco Sylos Labini, “Chi denigra la ricerca italiana”.

Quadro 4 - Miti e tristi realtà dell’università italiana