L’Italia che affonda

4.23 - I ranking delle università italiane nelle diverse discipline


E’ interessante conoscere le posizioni occupate dalle università italiane nei singoli ambiti scientifici. In questo caso alcune università migliorano la propria posizione ed altre la peggiorino rispetto all’indice generale. Bisogna considerare che in questo caso il ranking è limitato alle prime 300 università, così alcune di esse scompaiono, mentre ci sono delle new entry, come l’Università della Tuscia, Brescia, i politecnici di Milano e Torino, Trento, Trieste, Messina, Salerno, l’Aquila e l’Università della Calabria (vedi figura 82).
Vi sono casi in cui le università italiane si collocano nell’ambito dell’eccellenza (tra le prime 50) e non hanno nulla da invidiare alle più prestigiose università del mondo.

È il caso di discipline nelle quali l’Italia ha una tradizione di primo livello, come la fisica col 48° posto di Roma la Sapienza (la patria di Enrico Fermi e del gruppo di via Panisperna), o la matematica col 48° posto di Torino (dove insegnò Giuseppe Peano); ancora meglio nel campo ingegneristico dove in ingegneria elettrica abbiamo un 38° posto di Bologna, un 44° posto di Padova e piazziamo ben 5 università tra le prime 100. Lo stesso può dirsi per l’ingegneria meccanica con Napoli Federico II (41ª) e 4 atenei tra i primi 100. In generale è nel campo delle scienze ingegneristiche e delle scienze naturali che le nostre università ottengono le migliori prestazioni, a dimostrazione dell’esistenza di un patrimonio di conoscenze e di competenze che sarebbe dissennato far deperire o regalare ad altri paesi per mezzo del “brain drain”. Inoltre il quadro variegato dei posizionamenti delle università italiane che in qualche modo compaiono in una delle classifiche del ranking (sono in tutto 38 su un totale di 95 tra università statali, private e telematiche) rende problematico parlare di “università di eccellenza” come di un tutto monolitico, in quanto i settori di punta coesistono nelle varie università insieme a quelli in grave ritardo e con una scarsa produttività scientifica. Tranne l’unica eccezione di Bologna che è presente nel ranking di tutti i settori e discipline, ogni altra università ha i suoi punti di forza e di debolezza con diverse gradazioni e peculiarità. Certo suscita perplessità la generale debolezza nel campo delle scienze sociali (solo tre università tra le prime 500), che in questo caso ritengo sia spiegabile con l’assai basso grado di internazionalizzazione dei nostri umanisti, che ancora non hanno sviluppato la consuetudine di scrivere in inglese su riviste internazionali e spesso indulgono alla pubblicazione su riviste dipartimentali, di scuola o anche di corporazione accademica, aventi come punto di riferimento solo il contesto nazionale - nessuna delle quali è in lingua inglese - e quindi restano praticamente invisibili alla comunità degli studiosi, non venendo nemmeno prese in considerazione per l’impact factor dalla Thomson Reuters (che ha criteri estremamente stringenti per ammettere una rivista tra quelle indicizzate).

 

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Note e osservazioni


Quadro 4 - Miti e tristi realtà dell’università italiana