L’Italia che affonda

3.24.6 - Personale di ricerca e brevetti in Italia e nell’Oecd


La debolezza della ricerca italiana è evidente anche se si considera il personale di ricerca complessivo (non solo quello universitario) in percentuale per ogni 1000 lavoratori (equivalenti a tempo pieno) (v. figura 53).

Se si considera il fatto che in questa graduatoria Turchia, Cile, Brasile, Sud Africa e Messico non fanno parte dell’EU27, si vede che l’Italia occupa in essa l’ultimo posto, nonostante si sia passati dal 3,5% del 1995 al 3,8% del 2008. In sostanza, abbiamo la più bassa percentuale di ricercatori dell’UE, associata ad una sua costante decrescita relativa in relazione al comportamento di altri paesi e alla crescita da questi conosciuta. Infatti, la percentuale del numero di ricercatori per 1000 lavoratori a tempo pieno è crescita molto meno rispetto a gran parte dei paesi dell’OECD (v. figura 53a); tuttavia cresce paradossalmente più di quella di Germania e Stati Uniti.

Ma ciò può essere spiegato in considerazione del punto di partenza molto alto di questi due paesi, che già nel 1981 era rispettivamente del 4,7% e del 6,6%. È tuttavia da notare che paesi che attualmente sono nella nostra stessa zona di classifica (come Portogallo, Turchia, Spagna o Grecia) hanno fatto, nel lasso di tempo considerato, uno sforzo per aumentare la propria dotazione di ricercatori.

Il basso numero di ricercatori e il ridotto finanziamento in R&S si riflette anche sul numero di brevetti per milione di abitanti presentati all’European Patent Office (EPO): secondo i dati Eurostat del 2007, con i suoi 86,37 brevetti l’Italia è al di sotto della media EU27 (116,54), ma ancor più di nazioni come la Francia (132,37), l’Austria (216,97), la Finlandia (250,76), la Germania (290,7) e la Svezia (298, 36). Questo dato peggiora ulteriormente nel 2009 con 64,6 brevetti per milione di abitanti, che rimane sempre al di sotto della media europea di 116,1. Inoltre, dal sito dell’EPO apprendiamo che tra le prime 100 aziende per numero di domande di brevetti presentate nel 2009, nessuna di esse è italiana. Tuttavia è da notare che la spesa pubblica che finanzia direttamente le imprese mediante incentivi di natura economica volti sostenere l’innovazione è in Italia tra le più alte in Europa, arrivando a finanziare il 14% del totale delle imprese e il 44% di quelle classificate come “innovative” (a fronte di medie EU27 rispettivamente del 9% e dell’8,9%). Una dispersione di risorse, visto che gli studi disponibili sottolineano la scarsa efficacia degli incentivi individuali alle imprese a sostegno dell’innovazione, in quanto «non sembra esserci un impatto significativo sulla capacità di brevettazione e sulla performance economica». È quindi necessario prendere consapevolezza del carattere “mitologico” dell’incentivazione  individuale alle singole aziende e avviare un sostegno dell’innovazione che passi «per la promozione di reti di collaborazione tra imprese, università e centri di ricerca che riconosca la rilevanza del radicamento territoriale e delle componenti relazionali nella costruzione dell’innovazione» (C. Trigilia “Innovazione e territori in Italia”. I Quaderni di Italianieuropei, n. 1, 2010, pp. 119, 121).

 

Quadro 3 - L’arretramento in innovazione e ricerca dell’Italia

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Note e osservazioni