L’Italia che affonda
3.23 - Le industrie creative e l’arretratezza dell’Italia
Più nel concreto,è importante valutare la produzione reale di beni e servizi creativi da parte delle “industrie creative”. Secondo l’accezione fornita dal rapporto delle Nazioni Unite Creative Economy, i beni creativi comprendono come loro sottoinsieme i prodotti culturali e in generale artistici (di solito ritenuti come l’esempio tipico in cui si manifesta la creatività della persone) e si estendono a beni quali la moda e il software. Il comparto produttivo dei prodotti creativi, secondo le Nazioni Unite, «mette insieme creazione, produzione e commercializzazione di contenuti che sono intangibili e hanno natura culturale. Questi contenuti sono tipicamente protetti da copyright e possono avere la forma di beni o servizi». Insomma, le industrie creative e i loro prodotti sono la tipica espressione della società della conoscenza e della sua capacità di rendere economicamente e commercialmente fruibile ogni prodotto dell’attività intellettuale, in cui sia incorporata conoscenza, e quindi sia il frutto non di mera riproduzione passiva (che può costituire semmai solo un momento strumentale della diffusione di massa), ma espressione di talento e di originalità. Artigianato, festival (tradizionali, etnici o pop), musei, siti archeologici, pittura, scultura, performance artistiche (musicali, teatrali, marionettistiche), libri, giornali e pubblicazioni varie, audiovisivi (film, radio, televisione ecc.), design di interni, grafica, moda, oreficeria, software, videogames e tutto ciò che è digitalizzabile, servizi creativi nel campo dell’arredo, dell’architettura della pubblicità, R&S e così via: tutto questo rientra per l’UNCTD all’interno dell’industria creativa.
Insomma si conferma quanto da noi detto in precedenza sulla specializzazione produttiva dell’Italia nei prodotti di media e bassa tecnologia, che si alimentano della tradizione e della cultura sedimentata di un paese, piuttosto che in quelli di alta tecnologia, dove dimostriamo un arretramento complessivo rispetto al passato: nei new media passiamo dal 0,99% sull’export mondiale del 1996 allo 0,49 del 2006, con un dimezzamento della nostra quota, mentre invece gli altri nostri partner europei aumentano per lo più la loro quota di mercato. Mentre gran parte delle maggiori nazioni dell’EU27 hanno una variazione percentuale in positivo del proprio export, l’Italia è quella che scende di più in percentuale rispetto a tutte le altre, all’interno di una media EU che riesce a mantenersi di poco positiva pur nella concorrenza derivante dalle nuove nazioni asiatiche, che in questo campo ritagliano sempre più quote di mercato (con un +335,88%) (vedi figura 47a).
Se mettiamo insieme questi risultati con quelli sul clima creativo e li relazioniamo al problema che qui più ci interessa - l’innovazione nel campo dell’alta tecnologia - constatiamo che siamo in linea con le negatività sinora esaminate: è l’assetto istituzionale, politico e sociale a degradarsi, a progressivamente disgregarsi e corrompersi, portando con sé verso il basso anche i settori che ne dipendono, come ricerca, innovazione e università.
Quadro 3 - L’arretramento in innovazione e ricerca dell’Italia
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Note e osservazioni