L’Italia che affonda

3.14 - L’ICT Development Index


Risultati analoghi si traggono dall’ICT Development Index (IDI) elaborato nel 2010 dall’International Telecommunication Union, più specificatamente rivolto al settore dell’ICT e presentato per la prima volta nel 2009, che cerca di valutare il livello di accesso (con 5 indicatori), di uso (3 indicatori) e di capacità (skills) di utilizzo della popolazione (3 indicatori tratti dall’UNESCO) (vedi figura 35).
L’Italia conferma la sua relativa buona performance nel settore ICT occupando il 28° posto nel 2008 (ultimo anno di riferimento del report), pur essendo preceduta al solito da molti Stati che per altri aspetti consideriamo più arretrati di noi e che certo non appartengono al G8 (come Estonia, Spagna o Slovenia). E tuttavia si conferma ancora una volta la tendenza all’arretramento: rispetto al 2007 vengono perse ben 4 posizioni. La posizione dell’Italia è portata verso il basso dai fattori facenti parte del sub-indice dell’accesso, nel quale occupiamo il 31° posto (il 29° nel 2007), mentre ci si classifica meglio rispetto al valore complessivo nel sub-indice dell’uso (27 nel 2008, 24 nel 2007) e in particolar modo in quello concernente le abilità, in cui si migliora rispetto all’anno precedente di due posizioni, conquistando il 16° posto. E del resto è comprensibile quest’ultima performance in quanto essa
prende in esame fattori culturali (la percentuale della popolazione con più di 15 anni in grado di leggere, scrivere e il totale di immatricolazioni nella scuola secondaria e nell’università, indipendentemente dall’età) nei quali senza dubbio l’Italia ha una tradizione consolidata ed è meglio posizionata rispetto ad altri paesi che in altri settori la precedono.

Da quanto emerge dai dati concernenti l’ICT prima esaminati risultano con chiarezza i limiti già evidenziati dell’Italia. Ad es., dalla scheda dedicata all’Italia in merito al NRI, nella quale vengono dati i suoi ranking relativi a tutte le 69 variabili che compongono l’indice, troviamo nella sostanza la conferma a quanto diagnosticato dalla World Bank, collezionando posizioni particolarmente negative nei settori già noti: il 128° posto nei vincoli posti dalle regolamentazioni governative e nell’efficacia del sistema legale per definire le controversie; il 126° per l’estensione e l’incidenza della tassazione; il 121° per il tempo necessario a veder rispettato un contratto e così via (vedi figura 36). Per quanto riguarda invece i livelli di eccellenza dobbiamo constatare un primo posto per il livello di competizione, che misura il grado di concorrenza esistente sul mercato interno rivolto ai consumatori dei servizi di internet, dei servizi telefonici di lunga distanza e di telefonia mobile e quindi indica l’esistenza di una piena competizione e dell’assenza di monopoli. È questo un buon successo della politica di liberalizzazione portata avanti negli ultimi decenni, che viene confermata anche dal 3° posto nella sofisticazione e articolazione delle tipologie di affari presenti in Italia (“1.04 state of cluster development”). Un altro settore di eccellenza che merita attenzione e qualche chiarimento è quello dell’export delle industrie creative, che risulta del tutto comprensibile quando si consideri che le esportazioni prese in considerazione sono quelle in cui tipicamente eccelle il “made in Italy”: prodotti di artigianato artistico come «carpets, celebration articles, paperware, wickerware, yarn, and other; films; architecture, fashion, glassware, jewellery; music; books, newspapers, and other; antiques, paintings, photography, sculpture, and other» (Dutto & Mia 2010, p. 401). Resta confermato ovviamente l’alto livello di uso della telefonia mobile, con il 6° posto.

 

Quadro 3 - L’arretramento in innovazione e ricerca dell’Italia

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Note e osservazioni