L’Italia che affonda

3.13 - L’arretramento nella Information and Communication Technology


Da quanto risulta dal quadro 3.12, siamo pertanto un popolo di conversatori, ma non più di inventori: il fatto che l’Italia occupi nella ICT un posto migliore rispetto al ranking KEI non deve essere salutato come un segno di eccellenza in tale settore, in
quanto esso è sostanzialmente motivato solo dall’alto consumo di telefoni cellulari, senza che a ciò si accompagni né ricerca, né innovazione tecnologica né produzione in questo settore: quello dell’Italia è un atteggiamento puramente parassitario e dipende dalla importazione di tecnologia e di prodotti progettati e spesso anche costruiti altrove.
È quanto viene confermato dal Global Information Technology Report 2009-2010, redatto da Soumitra Dutta e Irene Mia per conto del World Economic Forum e dall’INSEAD, nel quale viene proposto il Networked Readiness
Index (NRI) che valuta l’intensità con cui le varie economie beneficiano degli ultimi avanzamenti nella ICT. Tale index fa uso di 69 variabili diverse raggruppate in 3 componenti e 9 “pillars” (vedi figura 33). Vengono così nel 2010 classificati 138 stati del mondo. Ebbene l’Italia occupa il 51° posto, peggiorando di due posizioni rispetto al 2009 e di sei rispetto al 2008. Ma è un continuo peggioramento a cominciare dal 2002 (vedi figura 34), confermandosi anche in questo caso la marcia del gambero dell’Italia, finendo per essere giudicata alla retroguardia dell’Europa (insieme alla sola Grecia), essenzialmente perché «il mercato e il contesto regolamentare non sembrano essere molto stimolanti per lo sviluppo dell’ICT e dell’innovazione, con poca priorità assegnata dai due governi all’uso dell’ICT e alla sua diffusione nell’ambito della loro complessiva strategia» [Dutto & Mia 2010, 20-1].
 

Quadro 3 - L’arretramento in innovazione e ricerca dell’Italia

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Note e osservazioni