L’Italia che affonda

3.11 - I limiti alla libertà di stampa


Sempre nel contesto del “pillar” “economic incentive and institutional regime”, uno dei fattori che contribuisce al posizionamento basso dell’Italia nel KEI è anche la variabile “libertà di stampa” (vedi quadro 3.9). Infatti, diversamente da quello che politici e molti intellettuali sostengono, la situazione che viene diagnosticata all’estero in questo campo è assai critica. È di questa opinione non solo la World Bank, ma anche l’associazione indipendente “Reporters sans frontiers”: nel suo ranking comprendente 175 paesi del mondo posiziona l’Italia al 49° posto, arretrandola di nove posizioni rispetto al 2002. Ora è preceduta da nazioni come Estonia (6ª), Lituania (10ª), la Giamaica (23ª), l’Ungheria (25ª), Ghana (27°), l’Uruguay (29°), Grecia (35ª) e tante altre, che di solito guardiamo dall’alto in basso, per non parlare ovviamente delle nazioni del G7 o di quelle più industrializzate e progredite alle quali invece ci vantiamo di appartenere. Anche peggio vanno le cose con il ranking dell’organizzazione americana Freedom House, che nel suo rapporto del 2008 sulla libertà di stampa colloca l’Italia tra le nazioni libere, ma al 65° posto su 195 nazioni esaminate; e nell’ultimo del 2009 scivola al 73° posto, venendo così classificata tra i paesi “parzialmente liberi”, condividendo in Europa occidentale questa lusinghiera qualifica con la Turchia. Sarà forse per questa condivisione di comuni destini che le autorità politiche italiane sono favorevoli (tranne la Lega Nord) all’ingresso della Turchia nell’EU.

Ma sono interessanti le diagnosi che vengono date di questa scarsa performance italiana. Per Freedom House, «l’Italia è scivolata nella sezione dei paesi parzialmente liberi grazie al cresciuto ricorso ai tribunali e alle leggi sulla diffamazione per limitare la libertà di parola, all’accresciuta intimidazione fisica ed extralegale sia delle associazioni criminali sia di gruppi lontani dalle leggi, come anche per le preoccupazioni sulla proprietà e sull’influenza dei media. Il ritorno del magnate dei media Silvio Berlusconi a primo ministro ha fatto rinascere i timori sulla concentrazione di posizioni private e statali nelle mani di un solo leader» (K.D. Karlekar, “Press Freedom in 2008: Restrictive laws and physical attacks fuel further declines”. In http://www.freedomhouse.org/uploads/fop/2009/FreedomofthePress2009_OverviewEssay.pdf 2009, p. 8). Anche l’ultimo rapporto del 2011-12 di Reporter senza frontiere segna una ulteriore passo indietro dell’Italia rispetto al precedente anno, retrocedendo di ben 12 posizioni e quindi collocandosi al 61° posto nella libertà di stampa. Ma è interessante anche la diagnosi fornita da tale istituzioni, quando rileva che il nostro paese «con le dimissioni di Silvio Berlusconi ha da poco voltato pagina do po molti anni di conflitto di interesse. Ciò nonostante il basso posizionamento in classifica porta ancora i segni del vecchio governo, soprattutto per il nuovo tentativo di introdurre una “legge bavaglio” e per l’intenzione di filtrare arbitrariamente i contenuti della rete. Entrambe le proposte, in extremis, sono state abbandonate». Nel precedente rapporto, la maggiore preoccupazione era suscitata dal controllo della televisione, la quale costituisce per l’80% della popolazione la maggior fonte di informazione, e alla legge tempo fa ventilata sul cosiddetto “bavaglio della stampa” che tante polemiche e accese discussioni ha provocando in Italia. Proprio verso quest’ultimo progetto normativo si erano indirizzati gli strali del rappresentante per la libertà di stampa dell’OECD Dunjia Mijatovic e le preoccupazioni dell’ONU tramite il suo “relatore speciale” per la libertà di espressione Frank La Rue.

Quadro 3 - L’arretramento in innovazione e ricerca dell’Italia

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Note e osservazioni


  1. Punti elenco Le prese di posizione dell’Oecd sono rinvenibili in www.osce.org/item/44592.html e Gazzettino Europeo, 17 luglio 2010, p. 3. Nelle parole della Mijatovic: «I am concerned that the Senate approved a bill that could seriously hinder investigative journalism in Italy despite several warnings from my Office. It marks a trend towards criminalizing journalistic work. […] Journalists must be free to report on all cases of public interest and must be able to choose how they conduct a responsible investigation. The draft law in its current form contradicts OSCE commitments, especially as it prohibits the use of some confidential sources and materials which may be necessary for meaningful investigative journalism in the service of democracy».